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      Fermo salito il primo di questi sentieri, da quel luogo più elevato, guardando dinanzi a sè, vide la guglia del Duomo, e ristette attonito: conobbe tosto quello che doveva essere, e ristette ancora a rimirare, dimentico per un momento di tutti i suoi travagli e assorto in quella contemplazione: poiché, come tutti i contadini di Lombardia, egli aveva fino dalla infanzia inteso parlare di quel Duomo, come della maraviglia del mondo: e in allora i viaggi erano così rari, e le comunicazioni così infrequenti, che Fermo dubitava assai se in vita sua avrebbe veduta mai quella maraviglia.
      Ma dopo qualche momento d'estasi, guardandosi intorno, e seguendo la catena dei monti, vide sorgere fra gli altri le punte del suo Resegone e si sentì tutto rimescolare il sangue, si mosse macchinalmente per correre da quella parte, e tosto ravveduto gli volse le spalle, e continuò tristamente il suo cammino. Ad ognuno in cui si abbatteva, domandava egli se quella era la via che conduceva a Milano, non tanto per esser certo della via quanto per assaggiare quegli abitatori sconosciuti, per sentire il loro linguaggio, giacché gli pareva di trovarsi in un paese strano, e per dirla nel suo linguaggio pareva perduto. Gli era risposto che andava bene, ed egli continuava. Finalmente cominciò a vedere campanili, cupole, torri, tetti e si accorse d'esser vicino. Allora s'accostò ad un viandante che veniva da Milano, e detto umilmente: «in grazia, Vossignoria», gli fece una domanda più precisa, e alla quale egli, con le sue idee contadinesche, stimava che ogni milanese dovesse saper rispondere: «Dove si va», disse Fermo, «per andare dal Padre Bonaventura?


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Fermo e Lucia
di Alessandro Manzoni
pagine 802

   





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