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      «Bravi fratelli», gridava Fermo: «saldi, ancora un momento, ahi! strappateli, fate che mi lascino, siamo fratelli».
      Il notajo veduta la mala parata, si fermò, e poi si volse indietro, per uscire da quella parte dove il concorso era ancor rado, cercando intanto di far l'indiano, e componendo il volto ad una certa curiosità, e maraviglia sciocca, come s'egli giungesse ivi a caso, e non c'entrasse per nulla. Ma l'abito lo tradiva, e smentiva il volto; per meglio nascondersi si volse egli ad uno dei molti che lo guardavano fiso, e disse: «che cosa è questa faccenda?»
      «Uh! corbaccio!» rispose invece dell'interrogato, uno che era più lontano. «Corbaccio! uh corbaccio!» fu ripetuto intorno. Il notajo impallidì: allora alle grida si aggiunsero gli urti di quelli che gli stavano a fianco: tanto che il pover'uomo ottenne in breve quello che invero desiderava ardentemente: d'esser fuori di quella calca, ma più colle gomita del prossimo che con le sue gambe.
      Quando Fermo si vide tolto alle ugne dei suoi guardiani, e confuso nella folla dei suoi liberatori, si scosse i manichini dai polsi, e il primo suo pensiero fu di approfittare di quella confusione, per fuggire in luogo di salvamento. Si ricordò tosto che il suo nome era scritto sui libracci del Capitano di giustizia, e fece ragione ch'egli non sarebbe sicuro né in Milano né a Monza né a casa sua, né in alcuna parte dello Stato. - Se mi pigliano la seconda volta, - diss'egli fra sè - sto fresco, e lo merito... Ma dove andare? - domandò a se stesso.


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Fermo e Lucia
di Alessandro Manzoni
pagine 802

   





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