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      Sconfortato uscì della via, entrò nei campi, e andando al lume della luna, procurò di dirigere il suo cammino verso quella parte dove gli pareva che l'Adda dovesse passare. Finalmente sentì il romore del fiume, e camminando sempre verso quello, giunse presso alla sponda. Ma quivi non v'era modo di transitare, onde il povero Fermo dopo aver guardato intorno se mai per caso qualche battello si trovasse su la riva, e non ne vedendo, tornò tristamente indietro, ed entrato in un bosco che costeggiava il fiume, s'arrampicò sur un albero, e vi si appiattò, aspettando con ansietà l'apparire del giorno. Ma la notte era appena incominciata, e il povero Fermo, ebbe molte ore da meditare in quella sua incomoda stazione. Don Rodrigo, Don Abbondio, il Vicario, Ferrer, la guida, l'oste di Milano, il notajo, i birri, il mercante, i curiosi, passavano a vicenda nella sua fantasia; ma nessuno di costoro conduceva seco una memoria che non fosse di rancore o di sconforto. Solo due immagini avevano un aspetto consolatore, e spargevano un po' di luce tranquilla su quel quadro confuso. Se noi inventassimo ora una storia a bel diletto, ricordevoli dell'acuto e profondo precetto del Venosino, ci guarderemmo bene dal riunire due immagini così disparate come quelle che si associavano nella mente di Fermo; ma noi trascriviamo una storia veridica; e le cose reali non sono ordinate con quella scelta, né temperate con quella armonia che sono proprie del buongusto; la natura, e la bella natura, sono due cose diverse.


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Fermo e Lucia
di Alessandro Manzoni
pagine 802

   





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