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      Quegli che erano rimasti colla speranza di preservare i loro averi, ne videro la distruzione, videro l'abominevole sfrenatezza, e per sopra pių soggiacquero agli strapazzi, alle percosse e alle ferite. Nč i campi all'intorno furono risparmiati; la vendemmia, somma speranza dei terrazzani in quell'anno calamitoso sparve in un momento, coll'uve furono sterpate le viti, gli alberi abbattuti col frutto, molti casali incendiati. Appena cessavano di farsi udire le trombe che avevan sonata la partenza d'un reggimento, un nuovo squillo dall'altra parte annunziava terribilmente l'arrivo di altra simile, anzi peggiore brigata. I sopravvegnenti, trovando la distruzione dove avrebbero voluto portarla, si vendicavano su le cose e su le persone che capitavano loro alle mani, come di un furto che fosse stato loro fatto: e tanta cupidigia frustrata tornava tutta in furore. Qualche memoria del guasto di quel paese ci rimane in alcune lettere di Sigismondo Boldoni scrittore riputatissimo ai suoi tempi, e che forse avrebbe acquistato un nome pių esteso e pių autorevole anche presso ai posteri se non fosse morto all'uscire della giovinezza, e sopra tutto se quei pochi anni gli avesse vissuti in un secolo, in cui fosse stato possibile concepire nuove idee d'una precisione e d'una importanza perpetua, e per esporle, trovare quello stile che vive. Questi sulle prime non aveva voluto fuggire, e parte cercando di avere ad alloggio ufiziali, parte chiamando soccorso di soldati italiani ivi stanziati era venuto a capo di preservare la sua casa, e di difenderla poi quando fu minacciata: e racconta agli amici i suoi pericoli, e gli altrui disastri.


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Fermo e Lucia
di Alessandro Manzoni
pagine 802

   





Sigismondo Boldoni