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      «Dite davvero, Agnese?» disse Don Abbondio.
      «È un buon parere, signor padrone», disse Perpetua: «andiamo senza perder tempo».
      «Senza perder tempo», disse Don Abbondio, «perché costoro possono giungere da un momento all'altro. Ma saremo sicuri in casa di quel signore? Eh!»
      «Andiamo», disse Perpetua, «sicuri come in chiesa: gli parlerò io: siamo amici: è stato nella mia cucina quieto come un agnello: è diventato un uomo del Signore».
      «Male non me ne vorrà fare: che dite eh? sarebbe un peccato senza costrutto: quelle poche volte che ho dovuto trovarmi con lui, sono sempre stato così compito! Andiamo, ma la mia povera roba!»
      «Anch'io ho dovuto lasciar quasi tutto il poco fatto mio, che sono una povera vedova», disse Agnese.
      «Sia fatta la volontà di Dio», disse Don Abbondio: e intanto Perpetua gli diede il fardello, dicendo: «porti questo, ch'io porto quest'altro».
      «Oh poveretto me!» disse Don Abbondio. «Che ci avete messo?»
      «Camicie e abiti», rispose Perpetua, indi fattasi all'orecchio di Don Abbondio, domandò sotto voce: «i danari li ha in tasca?»
      «Sì, zitto zitto per amor del cielo», rispose Don Abbondio, e prese il fardello. «Sentite Perpetua», riprese poi tosto al momento di partire: «tirate fuori qualche altro abito che Agnese farà questo servizio al suo curato di portarlo».
      «Ma non vede, che ho preso con me tutto quello di mio che poteva portare?» disse Agnese.
      «Oh me poveretto!» mormorò Don Abbondio, «ognuno pensa a sè. Andiamo, andiamo. Perpetua chiudete bene la porta: alla custodia di Dio.


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Fermo e Lucia
di Alessandro Manzoni
pagine 802

   





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