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      Sicché sopra il rovello e il danno aveva egli a tollerare anche le baruffe con Perpetua, e di queste baruffe ve n'era una tutte le volte che Don Abbondio si lagnava di qualche mancanza, domandava qualcheduno di quegli utensili che altri aveva fatti suoi.
      «Vada a cercarlo al tale che lo ha», diceva Perpetua, «e che non lo avrebbe tenuto fino a quest'ora se non avesse che fare con un... buon uomo».
      «Zitto, zitto Perpetua, zitto».
      «Zitto, zitto», rispondeva Perpetua: «e così ella si lascerebbe mangiar gli occhi del capo. Rubare agli altri è peccato, ma a lei è peccato non rubare».
      «Oh che spropositi! oh che spropositi!» sclamava Don Abbondio. «Ma sapete pure... Col nome del cielo... volete la mia morte!...»
      La baruffa andava talvolta in lungo, ma Don Abbondio rimaneva sempre vincitore, perché quando si trattava di paura, egli mostrava una risoluzione e una virtù tale che Perpetua sentiva di non poter competere, e taceva la prima. Tutto quello che fece Don Abbondio, fu di gittare in predica qualche motto sul dovere di restituire e su la trista sorte di chi va all'altro mondo carico dell'altrui; ma lo diceva con certe perifrasi, con un riserbo, con una delicatezza da fare onore ad un predicatore di corte. E pure appena quelle parole erano uscite, gli pareva che fossero state troppe e troppo ardite, e per riparare un qualche brutto effetto che ne potesse venire, passava tosto a parlare dell'ira, e della mansuetudine, e del gran male che è l'infierire contra quelli che non vogliono né possono far difesa.


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Fermo e Lucia
di Alessandro Manzoni
pagine 802

   





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