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      Nel cadavero si scoperse un carbone che diede sospetto di peste; i parenti del morto, spaventati dall'idea di divenire sospetti anch'essi, e di essere assoggettati alle precauzioni sanitarie, accorsero ad asseverare che quel tumore era stato cagionato dalla fatica del viaggio e della soma. Tuttavia gli abiti del Lovato e il letto dov'era giaciuto furono arsi nello spedale; ma non si pensò a più lontani provvedimenti. Tre giorni dopo, due serventi dello spedale, che avevano governato quell'infermo, e un buon frate che lo aveva assistito, si posero giù con febbre, che fu giudicata pestilente.
      Allora il tribunale della sanità fece sequestrare la famiglia del Lovato dalle molte altre famiglie, che abitavano nella stessa casa. Quest'ordine fu dato per abbondare in cautela, a quel che lasciò scritto il Tadino; ma se la cautela fu abbondante, certo non fu a tempo; poiché egli stesso racconta come un Carlo Colonna sonatore di liuto, che dimorava sotto quel tetto, s'ammalò ben tosto, e visitato da lui, morì in breve spazio con tutti i segnali del contagio.
      Tutti gl'inquilini di quella casa furono allora mandati al lazzeretto. Ma dall'arrivo del Lovato erano già corsi forse venticinque giorni, nei quali i parenti, i vicini che avevano praticato con lui, avevano praticato pure con altri senza sospetto e senza riguardo. Furono ricercate tutte le robe del Lovato e del Colonna; e fatte ardere quelle che si poterono rinvenire. Ma una parte era stata trafugata, dispersa, nascosta, con quella destrezza, con quella diligenza che tutti noi figli d'Adamo sappiamo mettere nel far male a noi stessi.


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Fermo e Lucia
di Alessandro Manzoni
pagine 802

   





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