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      Ormai chi avesse voluto parlar seriamente di peste sarebbe stato accolto non più con risate, ma con minacce e con insulti: quei medici, che lo ardivano erano nominati, notati, mostrati a dito come pubblici nemici.
      Sa il cielo quante quei poveri galantuomini avranno dovuto ingozzarne; le quali sono sepolte nell'obblio con chi le ha fatte e con chi le ha patite. Uno di quei casi però parve ai contemporanei degno d'esser tramandato ai posteri; e in servizio di quei posteri che forse non l'avessero mai inteso, lo racconteremo di nuovo anche noi.
      Ludovico Settala era generalmente riputato il primo medico del suo tempo in Lombardia; e questa riputazione gli è conservata tuttora da coloro che sono in caso d'avere una opinione ragionata su questo fatto. Oltre questa superiorità di dottrina, era egli celebrato e venerato per bontà di costumi, per uno grande zelo e un gran disinteresse e beneficenza nell'esercizio della sua professione. Vecchio venerabile, autore di molte opere la più parte latine, lodato dagli esteri, uomo che per amore del luogo natale aveva rifiutati gl'inviti splendidi del duca di Baviera, del granduca di Toscana, del cardinal legato di Bologna, dei signori veneziani, protofisico, lettore di filosofia, egli avrebbe potuto slanciare impunemente, anzi con applauso qualunque sproposito. Ma egli abusò di tanta popolarità; volle dire una cosa vera, che importava a tutti, e che nessuno voleva intendere; e ne fu severamente punito. La popolarità e il favore si cangiò in avversione.


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Fermo e Lucia
di Alessandro Manzoni
pagine 802

   





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