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      Con questi ordini si credette che fosse bastantemente ovviato ai pericoli di una accolta così numerosa. Un momento di riflessione avrebbe dovuto bastare a sbandire una tale fiducia da qualunque intelletto umano: e tanto più fa stupore come ell'abbia potuto prevalere in coloro i quali avevano dovuto vedere e sperimentare quanto rapidi, facili, moltiplici fossero i modi per cui il contagio si comunicava; e quanto scarsi in paragone i mezzi di riconoscere tosto le persone, le cose a cui si era comunicato. Certo non potevano nutrire la pazza lusinga di aver saputo discernere e sequestrare tutti gli infetti; dovevano anzi tenersi pur troppo certi che molti giravano liberamente, molti si sarebbero trovati in quella folla i quali avevano già nei loro corpi, o nelle vesti appiccato il contagio; non ignoravano che un solo di questi sarebbe bastato ad infettare una città intera: e si fidarono a quei loro provvedimenti.
      All'alba del giorno 11 di giugno, festivo a quei tempi nella diocesi milanese pel nome di San Barnaba, il clero e il popolo, ragunatosi parzialmente nelle diverse chiese, convenne in drappelli al Duomo, donde tutti poi insieme si mossero a processione. Andava innanzi una gran troppa di popolo misto di età, di condizione, e di sesso; quali portando un cero, quali un rosario; molti in segno di penitenza, scalzi. Venivano quindi con ceri le confraternite vestite di fogge varie di colori e di forme, poi le arti distinte, e precedute ognuna dal suo confalone; poi le varie congregazioni dei frati, neri, bigi, e bianchi, poi il clero secolare, distinto in parrocchie e in capitoli, con varie divise; quindi fra lo splendore di folti ceri, e tra un nembo incessante d'incenso, portata da quattro canonici, l'arca dove giacevano le reliquie invocate di San Carlo.


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Fermo e Lucia
di Alessandro Manzoni
pagine 802

   





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