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      Ma l'intolleranza della sventura, la disistima e l'obblio delle speranze superiori a tutte le sventure del tempo, l'orrore pusillanime e furioso della morte, erano le cagioni che mantenevano negli animi una irritazione avida di sfogo e di vendetta, e quindi sempre in cerca di fatti che ne dessero l'occasione, quindi ancora pronta a trovar questi fatti ad ogni momento.
      Il Ripamonti riferisce due esempj di quel furor popolare, avvertendo bene i suoi lettori di averli trascelti, non già perché fossero dei più atroci fra quegli che accadevano alla giornata, ma perché di quei due egli fu testimonio.
      Tre giovani francesi, un letterato, un pittore, e un meccanico in mal punto venuti per istudio, e per guadagno, stavano contemplando il duomo al di fuori. «È tutto marmo», dicevano; e come per accertarsi, stesero la mano a toccare la liscia superficie. Bastò! la folla agglomerata in un istante gl'involse; furono stretti, tenuti, percossi con tanto più di furore, perché le vesti, la chioma, il volto, le grida stesse gli accusavano stranieri, e quel che era peggio, francesi. A calci, a pugni, a strascichi, furono menati in carcere. Per buona sorte le carceri eran vicine, e vi giunsero vivi; e per una sorte ancor più felice, i giudici gli trovarono innocenti, e gli rilasciarono. L'altro caso fu più funesto. Un giorno solenne, nella chiesa di Sant'Antonio, frequente di popolo quanto poteva comportare quel tempo, un vecchio più che ottogenario aveva orato lungamente ginocchioni. E forse, pensando agli anni suoi, e al contagio che minacciava ogni persona, egli avrà offerto a Dio il sacrificio d'una vita ormai tanto caduca.


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Fermo e Lucia
di Alessandro Manzoni
pagine 802

   





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