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      Quivi pure una processione contrastata con ragioni savie, e voluta con fanatismo, diffuse rapidamente il contagio nella città; quivi pure molte vite generosamente sagrificate in pro' del prossimo da cittadini, e particolarmente da ecclesiastici; quivi pure licenza, e avanie degli infermieri e becchini che ivi erano chiamati nettezzini come in Milano monatti; quivi pure preservativi e rimedii strani o superstiziosi. Quivi pure come in Milano subitanei spaventi per voci sparse di sorprese nemiche sognate dalla paura, o inventate dalla malizia; e finalmente, per non dir tutto, quivi pure all'udire che in Milano v'era gente che disseminava il contagio con unzioni, nacque un terrore che il simile non avvenisse, anzi parve di vedere unti i catenacci e i martelli delle porte, e le pile delle Chiese. Ma la cosa non andò oltre; e come in questo particolare, così nel resto gli accidenti tristi che abbiam toccati furono in Bergamo men gravi, meno portentosi: l'incredulità fu meno ostinata, men clamorosa, la trascuranza men crassa, la superstizione meno feroce, la violenza meno bestiale, e meno impunita. Di questa differenza v'era molte cagioni, alcune presenti, altre antiche, quale nelle persone, e quale nelle cose; la ricerca delle quali cagioni è fuori affatto del nostro argomento.
      Quello che ora importa di sapere si è che Fermo contrasse la peste, e la superò felicemente. Tornato alla vita, dopo d'averla disperata, dopo quell'abbandono e quell'abbattimento, sentì egli rinascere più che mai fresche e rigogliose le speranze, le cure e i desiderj della vita; cioè pensò più che mai a Lucia, alle antiche affezioni, agli antichi disegni, alla incertezza in cui era da tanto tempo dei pensieri di essa, e alla nuova terribile incertezza della salute, della vita di lei in quel tempo dove il vivere e l'esser sano era come una eccezione alla regola.


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Fermo e Lucia
di Alessandro Manzoni
pagine 802

   





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