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      Finalmente Agnese indicò all'ospite la stanza, dov'egli doveva coricarsi: era quella di Lucia: Fermo amò meglio di andarsi a gettare sul picciolo fenile, adducendo motivi di precauzione per la salute. Prima dell'alba erano entrambi in piedi. Agnese diede a Fermo due pani, e due raviggiuoli, fattura delle sue mani, gli riempì di vino il fiaschetto ch'egli aveva portato con sè, dicendo: «in questi tempi potreste morir di fame, prima di trovare chi vi desse da mangiare». Il congedo fu quale ognuno può immaginarselo, pieno di tenerezza, di accoramento, e di speranza. Fermo partì, viaggiò tutto quel giorno, e avrebbe potuto la sera entrare in Milano, ma pensò che avrebbe trovato più facilmente un ricovero al di fuori. Ristette di fatti in una cascina deserta, a un miglio dalla città. Dormì su le stoppie, e all'alba, levatosi, si avviò, e fece la sua seconda entrata in Milano, che gli comparve in un aspetto più tristo e più strano d'assai che non era stato la prima volta.
     
      CAPITOLO VI
     
      S'io avessi ad inventare una storia, e per descrivere l'aspetto d'una città in una occasione importante, mi fosse venuto a taglio una volta il partito di farvi arrivare, e girar per entro un personaggio, mi guarderei bene dal ripetere inettamente lo stesso partito per descrivere la stessa città in un'altra occasione: che sarebbe un meritarsi l'accusa di sterilità d'invenzione, una delle più terribili che abbian luogo nella repubblica delle lettere, la quale, come ognun sa, si distingue fra tutte per la saviezza delle sue leggi.


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Fermo e Lucia
di Alessandro Manzoni
pagine 802

   





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