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      Ma, come il lettore è avvertito, io trascrivo una storia quale è accaduta: e gli avvenimenti reali non si astringono alle norme artificiali prescritte all'invenzione, procedono con tutt'altre loro regole, senza darsi pensiero di soddisfare alle persone di buon gusto. Se fosse possibile assoggettarli all'andamento voluto dalle poetiche, il mondo ne diverrebbe forse ancor più ameno che non sia; ma non è cosa da potersi sperare. Per questo incolto e materiale procedere dei fatti, è avvenuto che Fermo Spolino sia giunto due volte in Milano appunto in due epoche, diversamente singolari, e che l'una e l'altra volta abbia ricevuta dall'aspetto di quella città una impressione, che noi dobbiamo pur riferire, trattandosi d'uno dei nostri protagonisti. Nè in questo solo ma anche fra i due soggiorni di Fermo in Milano, anche fra le due partenze v'è un principio singolare di somiglianza: cui ella spiacesse, se la pigli con le cose, che hanno voluto essere a quel modo.
      Per una via deserta, fiancheggiata da campi imboschiti, giunto a piè delle mura, Fermo sostette pensoso, e preso da quella specie di spavento che si prova al trovare una vasta, ostinata solitudine in mezzo alle tracce dell'abitato: tese l'orecchio, girò gli occhi intorno: nessun indizio d'uomini, nessun segno di vita, nessun movimento; se non che d'in su la mura, ad intervalli, sorgevano colonne di fumo, che s'allargavano in globi scuri, bigi, folti, e quindi abbattute dal vento si curvavano, scendevano giù al di fuori, diradandosi e diffondendosi nell'aria, e si stendevano sul piano esteriore in nebbia lenta, crassa, fetente.


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Fermo e Lucia
di Alessandro Manzoni
pagine 802

   





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