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      Fermo vi stava ritto tuttavia ansante per la corsa, e per la tema avuta, agitato di dentro in una successione fluttuante di passioni e di pensieri. Da prima provò un vivo ristoro del vedersi in salvo, quindi dabbene come egli era, ringraziò Dio che lo avesse scampato da un tanto pericolo; ma non lasciò per questo di sentire un gran rancore per quei bestiali suoi persecutori; qualche momento dopo cominciò a parergli ben fastidiosa la compagnia di quei morti da cui era circondato, e di quei vivi pei quali sentiva ad un punto riconoscenza, e orrore.
      Pensò da poi che, se ben salvo, era pure ancor bene impacciato, pensò al modo di uscire dal fastidio senza incappare di nuovo nel pericolo e di trovare il lazzeretto, dal quale egli era lontano forse chi sa quanto; e forse se ne andava sempre più allontanando. Domandarne a quei suoi ricettatori, il cuore non glielo diceva; sarebbe stato un esporsi a mille inchieste, attirarsi Dio sa quali parole, impegnarsi in un colloquio né aggradevole, né troppo sano. Fermo era già anche troppo imbarazzato in quella poca conversazione, che aveva dovuto fare con essi; vedeva che quegli che lo avevano salvato erano sul conto suo nello stesso inganno di quelli che lo volevano morto; non si curava di sgannare coloro, e nello stesso tempo sentiva troppa ripugnanza a dir cosa che gli confermasse nel loro errore. Cercava quindi di lasciar cadere i discorsi, senza però mostrare né ripugnanza, né sospetto, né fare atto che gli alienasse l'animo di quegli che alla fine erano i suoi protettori in quel momento.


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Fermo e Lucia
di Alessandro Manzoni
pagine 802

   





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