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      Il rivedersi di lui e d'Agnese, la gioja di questa alle novelle che gli eran date, sono di quelle cose che i narratori passano in silenzio, nel supposto ragionevole, che il lettore se le può immaginare. Con Don Abbondio le cose non furono così chiare. Prima di tutto egli si fece pregare alquanto prima di aprire la porta a Fermo; anzi non vi si ridusse che allorquando la voce di questo gli parve un po' alterata, e le parole tinte un po' di minaccia. Apertogli, lo accolse con quella cera che un uomo imbrattato di debiti mostra ad un creditore che vorrebbe sapere mille miglia lontano, ma che pure non vorrebbe irritare al segno che quegli gli desse un libello.
      «Siete qui voi!» disse Don Abbondio.
      «Son qui», rispose Fermo, «grazie a Dio, e sono ad avvertirla che presto sarà qui anche Lucia Mondella, con la quale ella avrebbe dovuto sposarmi, è un anno e dieci mesi, e con la quale ora ella mi sposerà. Meglio tardi che mai».
      «Oh santo Dio benedetto!» sclamò Don Abbondio.
      «Signor curato», ripigliò Fermo: «quel signore che diede tanto fastidio a noi poveretti ed anche a lei, non ne darà più a nessuno».
      «Che vuol dire?» chiese Don Abbondio.
      «Vuol dire», rispose Fermo, «che Don Rodrigo a quest'ora debb'esser all'altro mondo».
      «Chi lo dice? chi lo dice?»
      «Lo dico io», rispose Fermo, «che l'ho veduto al Lazzeretto, col male addosso, acconciato pel dì delle feste, che faceva pietà».
      «Eh figliuolo! si guarisce, si guarisce dalla peste. Siam guariti anche noi».
      «Le dico, che a quest'ora sarà morto sicuro».


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Fermo e Lucia
di Alessandro Manzoni
pagine 802

   





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