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      – E a Lucia che devo dire?
      – Ch'è stato un mio sbaglio.
      – E i discorsi del mondo?
      – Dite pure a tutti, che ho sbagliato io, per troppa furia, per troppo buon cuore: gettate tutta la colpa addosso a me. Posso parlar meglio? via, per una settimana.
      – E poi, non ci sarà più altri impedimenti?
      – Quando vi dico...
      – Ebbene: avrò pazienza per una settimana; ma ritenga bene che, passata questa, non m'appagherò più di chiacchiere. Intanto la riverisco –. E così detto, se n'andò, facendo a don Abbondio un inchino men profondo del solito, e dandogli un'occhiata più espressiva che riverente.
      Uscito poi, e camminando di mala voglia, per la prima volta, verso la casa della sua promessa, in mezzo alla stizza, tornava con la mente su quel colloquio; e sempre più lo trovava strano. L'accoglienza fredda e impicciata di don Abbondio, quel suo parlare stentato insieme e impaziente, que' due occhi grigi che, mentre parlava, eran sempre andati scappando qua e là, come se avesser avuto paura d'incontrarsi con le parole che gli uscivan di bocca, quel farsi quasi nuovo del matrimonio così espressamente concertato, e sopra tutto quell'accennar sempre qualche gran cosa, non dicendo mai nulla di chiaro; tutte queste circostanze messe insieme facevan pensare a Renzo che ci fosse sotto un mistero diverso da quello che don Abbondio aveva voluto far credere. Stette il giovine in forse un momento di tornare indietro, per metterlo alle strette, e farlo parlar più chiaro; ma, alzando gli occhi, vide Perpetua che camminava dinanzi a lui, ed entrava in un orticello pochi passi distante dalla casa.


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I promessi sposi
di Alessandro Manzoni
pagine 798

   





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