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      Accompagnatolo poi in un salotto, e guardandolo con una cert'aria di maraviglia e di rispetto, disse: – non è lei... il padre Cristoforo di Pescarenico?
      – Per l'appunto.
      – Lei qui?
      – Come vedete, buon uomo.
      – Sarà per far del bene. Del bene, – continuò mormorando tra i denti, e rincamminandosi, – se ne può far per tutto –. Attraversati due o tre altri salotti oscuri, arrivarono all'uscio della sala del convito. Quivi un gran frastono confuso di forchette, di coltelli, di bicchieri, di piatti, e sopra tutto di voci discordi, che cercavano a vicenda di soverchiarsi. Il frate voleva ritirarsi, e stava contrastando dietro l'uscio col servitore, per ottenere d'essere lasciato in qualche canto della casa, fin che il pranzo fosse terminato; quando l'uscio s'aprì. Un certo conte Attilio, che stava seduto in faccia (era un cugino del padron di casa; e abbiam già fatta menzione di lui, senza nominarlo), veduta una testa rasa e una tonaca, e accortosi dell'intenzione modesta del buon frate, – ehi! ehi! – gridò: – non ci scappi, padre riverito: avanti, avanti –. Don Rodrigo, senza indovinar precisamente il soggetto di quella visita, pure, per non so qual presentimento confuso, n'avrebbe fatto di meno. Ma, poiché lo spensierato d'Attilio aveva fatta quella gran chiamata, non conveniva a lui di tirarsene indietro; e disse: – venga, padre, venga –. Il padre s'avanzò, inchinandosi al padrone, e rispondendo, a due mani, ai saluti de' commensali.
      L'uomo onesto in faccia al malvagio, piace generalmente (non dico a tutti) immaginarselo con la fronte alta, con lo sguardo sicuro, col petto rilevato, con lo scilinguagnolo bene sciolto.


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I promessi sposi
di Alessandro Manzoni
pagine 798

   





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