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      L'invitato non istette a domandar altro, e andò con Renzo.
      Giunti all'osteria del villaggio; seduti, con tutta libertà, in una perfetta solitudine, giacché la miseria aveva divezzati tutti i frequentatori di quel luogo di delizie; fatto portare quel poco che si trovava; votato un boccale di vino; Renzo, con aria di mistero, disse a Tonio: – se tu vuoi farmi un piccolo servizio, io te ne voglio fare uno grande.
      – Parla, parla; comandami pure, – rispose Tonio, mescendo.
      – Oggi mi butterei nel fuoco per te.
      – Tu hai un debito di venticinque lire col signor curato, per fitto del suo campo, che lavoravi, l'anno passato.
      – Ah, Renzo, Renzo! tu mi guasti il benefizio. Con che cosa mi vieni fuori? M'hai fatto andar via il buon umore.
      – Se ti parlo del debito, – disse Renzo, – è perché, se tu vuoi, io intendo di darti il mezzo di pagarlo.
      – Dici davvero?
      – Davvero. Eh? saresti contento?
      – Contento? Per diana. se sarei contento! Se non foss'altro, per non veder più que' versacci, e que' cenni col capo, che mi fa il signor curato, ogni volta che c'incontriamo. E poi sempre: Tonio, ricordatevi: Tonio, quando ci vediamo, per quel negozio? A tal segno che quando, nel predicare, mi fissa quegli occhi addosso, io sto quasi in timore che abbia a dirmi, lì in pubblico: quelle venticinque lire! Che maledette siano le venticinque lire! E poi, m'avrebbe a restituir la collana d'oro di mia moglie, che la baratterei in tanta polenta. Ma...
      – Ma, ma, se tu mi vuoi fare un servizietto, le venticinque lire son preparate.


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I promessi sposi
di Alessandro Manzoni
pagine 798

   





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