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      E a questi corrispondeva con una degnazione contegnosa. Quel giorno non avvenne, ma quando avveniva che s'incontrasse col signor castellano spagnolo, l'inchino allora era ugualmente profondo dalle due parti; la cosa era come tra due potentati, i quali non abbiano nulla da spartire tra loro; ma, per convenienza, fanno onore al grado l'uno dell'altro. Per passare un poco la mattana, e per contrapporre all'immagine del frate che gli assediava la fantasia, immagini in tutto diverse, don Rodrigo entrò, quel giorno, in una casa, dove andava, per il solito, molta gente, e dove fu ricevuto con quella cordialità affaccendata e rispettosa, ch'è riserbata agli uomini che si fanno molto amare o molto temere; e, a notte già fatta, tornò al suo palazzotto. Il conte Attilio era anche lui tornato in quel momento; e fu messa in tavola la cena, durante la quale, don Rodrigo fu sempre sopra pensiero, e parlò poco.
      – Cugino, quando pagate questa scommessa? – disse, con un fare di malizia e di scherno, il conte Attilio, appena sparecchiato, e andati via i servitori.
      – San Martino non è ancor passato.
      – Tant'è che la paghiate subito; perché passeranno tutti i santi del lunario, prima che...
      – Questo è quel che si vedrà.
      – Cugino, voi volete fare il politico; ma io ho capito tutto, e son tanto certo d'aver vinta la scommessa, che son pronto a farne un'altra.
      – Sentiamo.
      – Che il padre... il padre... che so io? quel frate in somma v'ha convertito.
      – Eccone un'altra delle vostre.
      – Convertito, cugino; convertito, vi dico.


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I promessi sposi
di Alessandro Manzoni
pagine 798

   





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