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      – E voi avete avuto tanta sofferenza? – esclamò il conte Attilio: – e l'avete lasciato andare com'era venuto?
      – Che volevate ch'io mi tirassi addosso tutti i cappuccini d'Italia?
      – Non so, – disse il conte Attilio, – se, in quel momento, mi sarei ricordato che ci fossero al mondo altri cappuccini che quel temerario birbante; ma via, anche nelle regole della prudenza, manca la maniera di prendersi soddisfazione anche d'un cappuccino? Bisogna saper raddoppiare a tempo le gentilezze a tutto il corpo, e allora si può impunemente dare un carico di bastonate a un membro. Basta; ha scansato la punizione che gli stava più bene; ma lo prendo io sotto la mia protezione, e voglio aver la consolazione d'insegnargli come si parla co' pari nostri.
      – Non mi fate peggio.
      – Fidatevi una volta, che vi servirò da parente e da amico.
      – Cosa pensate di fare?
      – Non lo so ancora; ma lo servirò io di sicuro il frate. Ci penserò, e... il signor conte zio del Consiglio segreto è lui che mi deve fare il servizio. Caro signor conte zio! Quanto mi diverto ogni volta che lo posso far lavorare per me, un politicone di quel calibro! Doman l'altro sarò a Milano, e, in una maniera o in un'altra, il frate sarà servito.
      Venne intanto la colazione, la quale non interruppe il discorso d'un affare di quell'importanza. Il conte Attilio ne parlava con disinvoltura; e, sebbene ci prendesse quella parte che richiedeva la sua amicizia per il cugino, e l'onore del nome comune, secondo le idee che aveva d'amicizia e d'onore, pure ogni tanto non poteva tenersi di non rider sotto i baffi, di quella bella riuscita.


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I promessi sposi
di Alessandro Manzoni
pagine 798

   





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