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      Riaccostati i battenti, furono anche riappuntellati alla meglio. Di fuori, quelli che s'eran costituiti guardia del corpo di Ferrer, lavoravano di spalle, di braccia e di grida, a mantener la piazza vota, pregando in cuor loro il Signore che lo facesse far presto.
      – Presto, presto, – diceva anche Ferrer di dentro, sotto il portico, ai servitori, che gli si eran messi d'intorno ansanti, gridando: – sia benedetto! ah eccellenza! oh eccellenza! uh eccellenza!
      – Presto, presto, – ripeteva Ferrer: – dov'è questo benedett'uomo?
      Il vicario scendeva le scale, mezzo strascicato e mezzo portato da altri suoi servitori, bianco come un panno lavato. Quando vide il suo aiuto, mise un gran respiro; gli tornò il polso, gli scorse un po' di vita nelle gambe, un po' di colore sulle gote; e corse, come poté, verso Ferrer, dicendo: – sono nelle mani di Dio e di vostra eccellenza. Ma come uscir di qui? Per tutto c'è gente che mi vuol morto.
      – Venga usted con migo, e si faccia coraggio: qui fuori c'è la mia carrozza; presto, presto –. Lo prese per la mano, e lo condusse verso la porta, facendogli coraggio tuttavia; ma diceva intanto tra sé: "aqui està el busilis; Dios nos valga!"
      La porta s'apre; Ferrer esce il primo; l'altro dietro, rannicchiato, attaccato, incollato alla toga salvatrice, come un bambino alla sottana della mamma. Quelli che avevan mantenuta la piazza vota, fanno ora, con un alzar di mani, di cappelli, come una rete, una nuvola, per sottrarre alla vista pericolosa della moltitudine il vicario; il quale entra il primo nella carrozza, e vi si rimpiatta in un angolo.


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I promessi sposi
di Alessandro Manzoni
pagine 798

   





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