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      – Del medesimo, – disse l'oste al garzone, dandogli il fiasco; e ritornò a sedere sotto la cappa del cammino. "Altro che lepre!" pensava, istoriando di nuovo la cenere: "e in che mani sei capitato! Pezzo d'asino! se vuoi affogare, affoga; ma l'oste della luna piena non deve andarne di mezzo, per le tue pazzie".
      Renzo ringraziò la guida, e tutti quegli altri che avevan prese le sue parti. – Bravi amici! – disse: – ora vedo proprio che i galantuomini si dànno la mano, e si sostengono –. Poi, spianando la destra per aria sopra la tavola, e mettendosi di nuovo in attitudine di predicatore, – gran cosa, – esclamò, – che tutti quelli che regolano il mondo, voglian fare entrar per tutto carta, penna e calamaio! Sempre la penna per aria! Grande smania che hanno que' signori d'adoprar la penna!
      – Ehi, quel galantuomo di campagna! volete saperne la ragione? – disse ridendo uno di que' giocatori, che vinceva.
      – Sentiamo un poco, – rispose Renzo.
      – La ragione è questa, – disse colui: – che que' signori son loro che mangian l'oche, e si trovan lì tante penne, tante penne, che qualcosa bisogna che ne facciano.
      Tutti si misero a ridere, fuor che il compagno che perdeva.
      – To', – disse Renzo: – è un poeta costui. Ce n'è anche qui de' poeti: già ne nasce per tutto. N'ho una vena anch'io, e qualche volta ne dico delle curiose... ma quando le cose vanno bene.
      Per capire questa baggianata del povero Renzo, bisogna sapere che, presso il volgo di Milano, e del contado ancora più, poeta non significa già, come per tutti i galantuomini, un sacro ingegno, un abitator di Pindo, un allievo delle Muse; vuol dire un cervello bizzarro e un po' balzano, che, ne' discorsi e ne' fatti, abbia più dell'arguto e del singolare che del ragionevole.


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I promessi sposi
di Alessandro Manzoni
pagine 798

   





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