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      – Dammi una mano, ch'io possa finir di spogliarmi, oste, – disse Renzo. – Lo vedo anch'io, ve', che ho addosso un gran sonno.
      L'oste gli diede l'aiuto richiesto; gli stese per di più la coperta addosso, e gli disse sgarbatamente – buona notte, – che già quello russava. Poi, per quella specie d'attrattiva, che alle volte ci tiene a considerare un oggetto di stizza, al pari che un oggetto d'amore, e che forse non è altro che il desiderio di conoscere ciò che opera fortemente sull'animo nostro, si fermò un momento a contemplare l'ospite così noioso per lui, alzandogli il lume sul viso, e facendovi, con la mano stesa, ribatter sopra la luce; in quell'atto a un di presso che vien dipinta Psiche, quando sta a spiare furtivamente le forme del consorte sconosciuto. – Pezzo d'asino! – disse nella sua mente al povero addormentato: – sei andato proprio a cercartela. Domani poi, mi saprai dire che bel gusto ci avrai. Tangheri, che volete girare il mondo, senza saper da che parte si levi il sole; per imbrogliar voi e il prossimo.
      Così detto o pensato, ritirò il lume, si mosse, uscì dalla camera, e chiuse l'uscio a chiave. Sul pianerottolo della scala, chiamò l'ostessa; alla quale disse che lasciasse i figliuoli in guardia a una loro servetta, e scendesse in cucina, a far le sue veci. – Bisogna ch'io vada fuori, in grazia d'un forestiero capitato qui, non so come diavolo, per mia disgrazia, – soggiunse; e le raccontò in compendio il noioso accidente. Poi soggiunse ancora: – occhio a tutto; e sopra tutto prudenza, in questa maledetta giornata.


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I promessi sposi
di Alessandro Manzoni
pagine 798

   





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