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      Ma, non che aprirsi con nessuno su questa sua nuova inquietudine, la copriva anzi profondamente, e la mascherava con l'apparenze d'una più cupa ferocia; e con questo mezzo, cercava anche di nasconderla a se stesso, o di soffogarla. Invidiando (giacché non poteva annientarli né dimenticarli) que' tempi in cui era solito commettere l'iniquità senza rimorso, senz'altro pensiero che della riuscita, faceva ogni sforzo per farli tornare, per ritenere o per riafferrare quell'antica volontà, pronta, superba, imperturbata, per convincer se stesso ch'era ancor quello.
      Così in quest'occasione, aveva subito impegnata la sua parola a don Rodrigo, per chiudersi l'adito a ogni esitazione. Ma appena partito costui, sentendo scemare quella fermezza che s'era comandata per promettere, sentendo a poco a poco venirsi innanzi nella mente pensieri che lo tentavano di mancare a quella parola, e l'avrebbero condotto a scomparire in faccia a un amico, a un complice secondario; per troncare a un tratto quel contrasto penoso, chiamò il Nibbio, uno de' più destri e arditi ministri delle sue enormità, e quello di cui era solito servirsi per la corrispondenza con Egidio. E, con aria risoluta, gli comandò che montasse subito a cavallo, andasse diritto a Monza, informasse Egidio dell'impegno contratto, e richiedesse il suo aiuto per adempirlo.
      Il messo ribaldo tornò più presto che il suo padrone non se l'aspettasse, con la risposta d'Egidio: che l'impresa era facile e sicura; gli si mandasse subito una carrozza, con due o tre bravi ben travisati; e lui prendeva la cura di tutto il resto, e guiderebbe la cosa.


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I promessi sposi
di Alessandro Manzoni
pagine 798

   





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