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      Voi tornerete, n'è vero? in compagnia di questo ecclesiastico dabbene?
      – S'io tornerò? – rispose l'innominato: – quando voi mi rifiutaste, rimarrei ostinato alla vostra porta, come il povero. Ho bisogno di parlarvi! ho bisogno di sentirvi, di vedervi! ho bisogno di voi!
      Federigo gli prese la mano, gliela strinse, e disse: – favorirete dunque di restare a desinare con noi. V'aspetto. Intanto, io vo a pregare, e a render grazie col popolo; e voi a cogliere i primi frutti della misericordia.
      Don Abbondio, a quelle dimostrazioni, stava come un ragazzo pauroso, che veda uno accarezzar con sicurezza un suo cagnaccio grosso, rabbuffato, con gli occhi rossi, con un nomaccio famoso per morsi e per ispaventi, e senta dire al padrone che il suo cane è un buon bestione, quieto, quieto: guarda il padrone, e non contraddice né approva; guarda il cane, e non ardisce accostarglisi, per timore che il buon bestione non gli mostri i denti, fosse anche per fargli le feste; non ardisce allontanarsi, per non farsi scorgere; e dice in cuor suo: oh se fossi a casa mia!
      Al cardinale, che s'era mosso per uscire, tenendo sempre per la mano e conducendo seco l'innominato, diede di nuovo nell'occhio il pover'uomo, che rimaneva indietro, mortificato, malcontento, facendo il muso senza volerlo. E pensando che forse quel dispiacere gli potesse anche venire dal parergli d'esser trascurato, e come lasciato in un canto, tanto più in paragone d'un facinoroso così ben accolto, così accarezzato, se gli voltò nel passare, si fermò un momento, e con un sorriso amorevole, gli disse: – signor curato, voi siete sempre con me nella casa del nostro buon Padre; ma questo.


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I promessi sposi
di Alessandro Manzoni
pagine 798

   





Abbondio Padre