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      Arrivati all'uscio di strada, trovarono le due cavalcature in ordine: l'innominato saltò su quella che gli fu presentata da un palafreniere.
      – Vizi non ne ha? – disse all'aiutante di camera don Abbondio, rimettendo in terra il piede, che aveva già alzato verso la staffa.
      – Vada pur su di buon animo: è un agnello –. Don Abbondio, arrampicandosi alla sella, sorretto dall'aiutante, su, su, su, è a cavallo.
      La lettiga, ch'era innanzi qualche passo, portata da due mule, si mosse, a una voce del lettighiero; e la comitiva partì.
      Si doveva passar davanti alla chiesa piena zeppa di popolo, per una piazzetta piena anch'essa d'altro popolo del paese e forestieri, che non avevan potuto entrare in quella. Già la gran nuova era corsa; e all'apparir della comitiva, all'apparir di quell'uomo, oggetto ancor poche ore prima di terrore e d'esecrazione, ora di lieta maraviglia, s'alzò nella folla un mormorìo quasi d'applauso; e facendo largo, si faceva insieme alle spinte, per vederlo da vicino. La lettiga passò, l'innominato passò; e davanti alla porta spalancata della chiesa, si levò il cappello, e chinò quella fronte tanto temuta, fin sulla criniera della mula, tra il susurro di cento voci che dicevano: Dio la benedica! Don Abbondio si levò anche lui il cappello, si chinò, si raccomandò al cielo; ma sentendo il concerto solenne de' suoi confratelli che cantavano a distesa, provò un'invidia, una mesta tenerezza, un accoramento tale, che durò fatica a tener le lacrime.
      Fuori poi dell'abitato, nell'aperta campagna, negli andirivieni talvolta affatto deserti della strada, un velo più nero si stese sui suoi pensieri.


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I promessi sposi
di Alessandro Manzoni
pagine 798

   





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