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      D'allora in poi, in tante visite episcopali ch'ebbe a fare, il primo entrar nella chiesa si può senza scherzo contarlo tra le sue pastorali fatiche, e qualche volta, tra i pericoli passati da lui.
      Entrò anche in questa come poté; andò all'altare e, dopo essere stato alquanto in orazione, fece, secondo il suo solito, un piccol discorso al popolo, sul suo amore per loro, sul suo desiderio della loro salvezza, e come dovessero disporsi alle funzioni del giorno dopo. Ritiratosi poi nella casa del parroco, tra gli altri discorsi, gli domandò informazione di Renzo. Don Abbondio disse ch'era un giovine un po' vivo, un po' testardo, un po' collerico. Ma, a più particolari e precise domande, dovette rispondere ch'era un galantuomo, e che anche lui non sapeva capire come, in Milano, avesse potuto fare tutte quelle diavolerie che avevan detto.
      – In quanto alla giovine, – riprese il cardinale, – pare anche a voi che possa ora venir sicuramente a dimorare in casa sua?
      – Per ora, – rispose don Abbondio, – può venire e stare, come vuole: dico, per ora; ma, – soggiunse poi con un sospiro, – bisognerebbe che vossignoria illustrissima fosse sempre qui, o almeno vicino.
      – Il Signore è sempre vicino, – disse il cardinale: – del resto, penserò io a metterla al sicuro –. E diede subito ordine che, il giorno dopo, si spedisse di buon'ora la lettiga, con una scorta, a prender le due donne.
      Don Abbondio uscì di lì tutto contento che il cardinale gli avesse parlato de' due giovani, senza chiedergli conto del suo rifiuto di maritarli.


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I promessi sposi
di Alessandro Manzoni
pagine 798

   





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