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      Questa si ristringeva nelle spalle, e pregava il sarto, il quale aveva fatta loro l'imbasciata, che trovasse maniera di scusarla. Finché s'era trattato di gente alla buona che cercava di conoscer la giovine del miracolo, il sarto le aveva reso volentieri un tal servizio; ma in questo caso, il rifiuto gli pareva una specie di ribellione. Fece tanti versi, tant'esclamazioni, disse tante cose: e che non si faceva così, e ch'era una casa grande, e che ai signori non si dice di no, e che poteva esser la loro fortuna, e che la signora donna Prassede, oltre il resto, era anche una santa; tante cose insomma, che Lucia si dovette arrendere: molto più che Agnese confermava tutte quelle ragioni con altrettanti – sicuro, sicuro.
      Arrivate davanti alla signora, essa fece loro grand'accoglienza, e molte congratulazioni; interrogò, consigliò: il tutto con una certa superiorità quasi innata, ma corretta da tante espressioni umili, temperata da tanta premura, condita di tanta spiritualità, che, Agnese quasi subito, Lucia poco dopo, cominciarono a sentirsi sollevate dal rispetto opprimente che da principio aveva loro incusso quella signorile presenza; anzi ci trovarono una certa attrattiva. E per venire alle corte, donna Prassede, sentendo che il cardinale s'era incaricato di trovare a Lucia un ricovero, punta dal desiderio di secondare e di prevenire a un tratto quella buona intenzione, s'esibì di prender la giovine in casa, dove, senz'essere addetta ad alcun servizio particolare, potrebbe, a piacer suo, aiutar l'altre donne ne' loro lavori.


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I promessi sposi
di Alessandro Manzoni
pagine 798

   





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