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      Vedendo che qualcosa bisognava rispondere, disse, con una certa sommissione forzata: – monsignore illustrissimo, avrò torto. Quando la vita non si deve contare, non so cosa mi dire. Ma quando s'ha che fare con certa gente, con gente che ha la forza, e che non vuol sentir ragioni, anche a voler fare il bravo, non saprei cosa ci si potesse guadagnare. È un signore quello, con cui non si può né vincerla né impattarla.
      – E non sapete voi che il soffrire per la giustizia è il nostro vincere? E se non sapete questo, che cosa predicate? di che siete maestro? qual è la buona nuova che annunziate a' poveri? Chi pretende da voi che vinciate la forza con la forza? Certo non vi sarà domandato, un giorno, se abbiate saputo fare stare a dovere i potenti; che a questo non vi fu dato né missione, né modo. Ma vi sarà ben domandato se avrete adoprati i mezzi ch'erano in vostra mano per far ciò che v'era prescritto, anche quando avessero la temerità di proibirvelo.
      Anche questi santi son curiosi, – pensava intanto don Abbondio: – in sostanza, a spremerne il sugo, gli stanno più a cuore gli amori di due giovani, che la vita d'un povero sacerdote
      . E, in quant'a lui, si sarebbe volentieri contentato che il discorso finisse lì; ma vedeva il cardinale, a ogni pausa, restare in atto di chi aspetti una risposta: una confessione, o un'apologia, qualcosa in somma.
      – Torno a dire, monsignore, – rispose dunque, – che avrò torto io... Il coraggio, uno non se lo può dare.
      – E perché dunque, potrei dirvi, vi siete voi impegnato in un ministero che v'impone di stare in guerra con le passioni del secolo?


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I promessi sposi
di Alessandro Manzoni
pagine 798

   





Abbondio