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      – Che ne dite, Perpetua? – domandò don Abbondio.
      – Dico che è un'ispirazione del cielo, e che non bisogna perder tempo, e mettersi la strada tra le gambe.
      – E poi...
      – E poi, e poi, quando saremo là, ci troveremo ben contenti. Quel signore, ora si sa che non vorrebbe altro che far servizi al prossimo; e sarà ben contento anche lui di ricoverarci. Là, sul confine, e così per aria, soldati non ne verrà certamente. E poi e poi, ci troveremo anche da mangiare; ché, su per i monti, finita questa poca grazia di Dio, – e così dicendo, l'accomodava nella gerla, sopra la biancheria, – ci saremmo trovati a mal partito.
      – Convertito, è convertito davvero, eh?
      – Che c'è da dubitarne ancora, dopo tutto quello che si sa, dopo quello che anche lei ha veduto?
      – E se andassimo a metterci in gabbia?
      – Che gabbia? Con tutti codesti suoi casi, mi scusi, non si verrebbe mai a una conclusione. Brava Agnese! v'è proprio venuto un buon pensiero –. E messa la gerla sur un tavolino, passò le braccia nelle cigne, e la prese sulle spalle.
      – Non si potrebbe, – disse don Abbondio, – trovar qualche uomo che venisse con noi, per far la scorta al suo curato? Se incontrassimo qualche birbone, che pur troppo ce n'è in giro parecchi, che aiuto m'avete a dar voi altre?
      – Un'altra, per perder tempo! – esclamò Perpetua. – Andarlo a cercar ora l'uomo, che ognuno ha da pensare a' fatti suoi. Animo! vada a prendere il breviario e il cappello; e andiamo.
      Don Abbondio andò, tornò, di lì a un momento, col breviario sotto il braccio, col cappello in capo, e col suo bordone in mano; e uscirono tutt'e tre per un usciolino che metteva sulla piazzetta.


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I promessi sposi
di Alessandro Manzoni
pagine 798

   





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