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      Per giunta poi, quel disastro fu una semenza d'altre questioni molto noiose; perché Perpetua, a forza di chiedere e domandare, di spiare e fiutare, venne a saper di certo che alcune masserizie del suo padrone, credute preda o strazio de' soldati, erano in vece sane e salve in casa di gente del paese; e tempestava il padrone che si facesse sentire, e richiedesse il suo. Tasto più odioso non si poteva toccare per don Abbondio; giacché la sua roba era in mano di birboni, cioè di quella specie di persone con cui gli premeva più di stare in pace.
      – Ma se non ne voglio saper nulla di queste cose, – diceva. – Quante volte ve lo devo ripetere, che quel che è andato è andato? Ho da esser messo anche in croce, perché m'è stata spogliata la casa?
      – Se lo dico, – rispondeva Perpetua, – che lei si lascerebbe cavar gli occhi di testa. Rubare agli altri è peccato, ma a lei, è peccato non rubare.
      – Ma vedete se codesti sono spropositi da dirsi! – replicava don Abbondio: – ma volete stare zitta?
      Perpetua si chetava, ma non subito subito; e prendeva pretesto da tutto per riprincipiare. Tanto che il pover'uomo s'era ridotto a non lamentarsi più, quando trovava mancante qualche cosa, nel momento che ne avrebbe avuto bisogno; perché, più d'una volta, gli era toccato a sentirsi dire: – vada a chiederlo al tale che l'ha, e non l'avrebbe tenuto fino a quest'ora, se non avesse che fare con un buon uomo.
      Un'altra e più viva inquietudine gli dava il sentire che giornalmente continuavano a passar soldati alla spicciolata, come aveva troppo bene congetturato; onde stava sempre in sospetto di vedersene capitar qualcheduno o anche una compagnia sull'uscio, che aveva fatto raccomodare in fretta per la prima cosa, e che teneva chiuso con gran cura; ma, per grazia del cielo, ciò non avvenne mai.


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I promessi sposi
di Alessandro Manzoni
pagine 798

   





Perpetua Abbondio Perpetua Abbondio