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      A mezzo circa della giornata, si fermò in un boschetto, a mangiare un po' di pane e di companatico che aveva portato con sé. Frutte, n'aveva a sua disposizione, lungo la strada, anche più del bisogno: fichi, pesche, susine, mele, quante n'avesse volute; bastava ch'entrasse ne' campi a coglierne, o a raccattarle sotto gli alberi, dove ce n'era come se fosse grandinato; giacché l'anno era straordinariamente abbondante, di frutte specialmente; e non c'era quasi chi se ne prendesse pensiero: anche l'uve nascondevano, per dir così, i pampani, ed eran lasciate in balìa del primo occupante.
      Verso sera, scoprì il suo paese. A quella vista, quantunque ci dovesse esser preparato, si sentì dare come una stretta al cuore: fu assalito in un punto da una folla di rimembranze dolorose, e di dolorosi presentimenti: gli pareva d'aver negli orecchi que' sinistri tocchi a martello che l'avevan come accompagnato, inseguito, quand'era fuggito da que' luoghi; e insieme sentiva, per dir così, un silenzio di morte che ci regnava attualmente. Un turbamento ancor più forte provò allo sboccare sulla piazzetta davanti alla chiesa; e ancora peggio s'aspettava al termine del cammino: ché dove aveva disegnato d'andare a fermarsi, era a quella casa ch'era stato solito altre volte di chiamar la casa di Lucia. Ora non poteva essere, tutt'al più, che quella d'Agnese; e la sola grazia, che sperava dal cielo era di trovarcela in vita e in salute. E in quella casa si proponeva di chiedere alloggio, congetturando bene che la sua non dovesse esser più abitazione che da topi e da faine.


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I promessi sposi
di Alessandro Manzoni
pagine 798

   





Lucia Agnese