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      Non volendo farsi vedere, prese per una viottola di fuori, quella stessa per cui era venuto in buona compagnia, quella notte così fatta, per sorprendere il curato. A mezzo circa, c'era da una parte la vigna, e dall'altra la casetta di Renzo; sicché, passando, potrebbe entrare un momento nell'una e nell'altra, a vedere un poco come stesse il fatto suo.
      Andando, guardava innanzi, ansioso insieme e timoroso di veder qualcheduno; e, dopo pochi passi, vide infatti un uomo in camicia, seduto in terra, con le spalle appoggiate a una siepe di gelsomini, in un'attitudine d'insensato: e, a questa, e poi anche alla fisonomia, gli parve di raffigurar quel povero mezzo scemo di Gervaso ch'era venuto per secondo testimonio alla sciagurata spedizione. Ma essendosegli avvicinato, dovette accertarsi ch'era in vece quel Tonio così sveglio che ce l'aveva condotto. La peste, togliendogli il vigore del corpo insieme e della mente, gli aveva svolto in faccia e in ogni suo atto un piccolo e velato germe di somiglianza che aveva con l'incantato fratello.
      – Oh Tonio! – gli disse Renzo, fermandosegli davanti: – sei tu?
      Tonio alzò gli occhi, senza mover la testa.
      – Tonio! non mi riconosci?
      – A chi la tocca, la tocca, – rispose Tonio, rimanendo poi con la bocca aperta.
      – L'hai addosso eh? povero Tonio; ma non mi riconosci più?
      – A chi la tocca, la tocca, – replicò quello, con un certo sorriso sciocco. Renzo, vedendo che non ne caverebbe altro, seguitò la sua strada, più contristato. Ed ecco spuntar da una cantonata, e venire avanti una cosa nera, che riconobbe subito per don Abbondio.


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I promessi sposi
di Alessandro Manzoni
pagine 798

   





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