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      Certo, nessuno poteva tenere presso di Renzo il luogo d'Agnese, né consolarlo della di lei assenza, non solo per quell'antica e speciale affezione, ma anche perché, tra le cose che a lui premeva di decifrare, ce n'era una di cui essa sola aveva la chiave. Stette un momento tra due, se dovesse continuare il suo viaggio, o andar prima in cerca d'Agnese, giacché n'era così poco lontano; ma, considerato che della salute di Lucia, Agnese non ne saprebbe nulla, restò nel primo proposito d'andare addirittura a levarsi questo dubbio, a aver la sua sentenza, e di portar poi lui le nuove alla madre. Però, anche dall'amico seppe molte cose che ignorava, e di molte venne in chiaro che non sapeva bene, sui casi di Lucia, e sulle persecuzioni che gli avevan fatte a lui, e come don Rodrigo se n'era andato con la coda tra le gambe, e non s'era più veduto da quelle parti; insomma su tutto quell'intreccio di cose. Seppe anche (e non era per Renzo cognizione di poca importanza) come fosse proprio il casato di don Ferrante: ché Agnese gliel aveva bensì fatto scrivere dal suo segretario; ma sa il cielo com'era stato scritto; e l'interprete bergamasco, nel leggergli la lettera, n'aveva fatta una parola tale, che, se Renzo fosse andato con essa a cercar ricapito di quella casa in Milano, probabilmente non avrebbe trovato persona che indovinasse di chi voleva parlare. Eppure quello era l'unico filo che avesse, per andar in cerca di Lucia. In quanto alla giustizia, poté confermarsi sempre più ch'era un pericolo abbastanza lontano, per non darsene gran pensiero: il signor podestà era morto di peste: chi sa quando se ne manderebbe un altro; anche la sbirraglia se n'era andata la più parte; quelli che rimanevano, avevan tutt'altro da pensare che alle cose vecchie.


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I promessi sposi
di Alessandro Manzoni
pagine 798

   





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