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      – Bravo! bravo! – esclamarono, a una voce, i monatti, alcuni de' quali seguivano il convoglio a piedi, altri eran seduti sui carri, altri, per dire l'orribil cosa com'era, sui cadaveri, trincando da un gran fiasco che andava in giro. – Bravo! bel colpo!
      – Sei venuto a metterti sotto la protezione de' monatti; fa' conto d'essere in chiesa, – gli disse uno de' due che stavano sul carro dov'era montato.
      I nemici, all'avvicinarsi del treno, avevano, i più, voltate le spalle, e se n'andavano, non lasciando di gridare: – dàgli! dàgli! all'untore! – Qualcheduno si ritirava più adagio, fermandosi ogni tanto, e voltandosi, con versacci e con gesti di minaccia, a Renzo; il quale, dal carro, rispondeva loro dibattendo i pugni in aria.
      – Lascia fare a me, – gli disse un monatto; e strappato d'addosso a un cadavere un laido cencio, l'annodò in fretta, e, presolo per una delle cocche, l'alzò come una fionda verso quegli ostinati, e fece le viste di buttarglielo, gridando: – aspetta, canaglia! – A quell'atto, fuggiron tutti, inorriditi; e Renzo non vide più che schiene di nemici, e calcagni che ballavano rapidamente per aria, a guisa di gualchiere.
      Tra i monatti s'alzò un urlo di trionfo, uno scroscio procelloso di risa, un – uh! – prolungato, come per accompagnar quella fuga.
      – Ah ah! vedi se noi sappiamo proteggere i galantuomini? disse a Renzo quel monatto: – val più uno di noi che cento di que' poltroni.
      – Certo, posso dire che vi devo la vita, – rispose Renzo: – e vi ringrazio con tutto il cuore.


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I promessi sposi
di Alessandro Manzoni
pagine 798

   





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