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      Con Agnese essa aveva già fatto amicizia; con Lucia poi era un piacere a vederla, tenera insieme e scherzevole, e come la stuzzicava garbatamente, e senza spinger troppo, appena quanto ci voleva per obbligarla a dimostrar tutta l'allegria che aveva in cuore.
      Renzo disse finalmente che andava da don Abbondio, a prendere i concerti per lo sposalizio. Ci andò, e, con un certo fare tra burlesco e rispettoso, – signor curato, – gli disse: – le è poi passato quel dolor di capo, per cui mi diceva di non poterci maritare? Ora siamo a tempo; la sposa c'è: e son qui per sentire quando le sia di comodo: ma questa volta, sarei a pregarla di far presto –. Don Abbondio non disse di no; ma cominciò a tentennare, a trovar cert'altre scuse, a far cert'altre insinuazioni: e perché mettersi in piazza, e far gridare il suo nome, con quella cattura addosso? e che la cosa potrebbe farsi ugualmente altrove; e questo e quest'altro.
      – Ho inteso, – disse Renzo: – lei ha ancora un po' di quel mal di capo. Ma senta, senta –. E cominciò a descrivere in che stato aveva visto quel povero don Rodrigo; e che già a quell'ora doveva sicuramente essere andato. – Speriamo, – concluse, – che il Signore gli avrà usato misericordia.
      – Questo non ci ha che fare, – disse don Abbondio: – v'ho forse detto di no? Io non dico di no; parlo... parlo per delle buone ragioni. Del resto, vedete, fin che c'è fiato... Guardatemi me: sono una conca fessa; sono stato anch'io, più di là che di qua: e son qui; e... se non mi vengono addosso de' guai.


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I promessi sposi
di Alessandro Manzoni
pagine 798

   





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