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      Per maggiore sicurezza affidai la guardia dell'Istituto a un picchetto di soldati della brigata Dunne, e collocai sentinelle agli angoli esterni dell'edifizío. Il colonnello Dunne, inglese, apprestava una brigata di Siciliani, e sentendo imminente l'azione, industriavasi di colmare, come meglio gli poteva riescir fatto, le larghe lacune dei suoi quadri. Adagiato su una scranna nella spianata vicina all'Istituto, in soprabito di seta cruda, fumando una pipa turca, esercitava le sue genti all'armi, che per bizzarria vestì d'assisa bianca. Egli sedeva al centro ed esse movevangli in giro a modo di ridda. Dunne guardava con occhio lucente l'infiorescenza primaverile del mio primo battaglione, l'aria marziale, la precisione dei movimenti, il precoce sviluppo fisico di quei giovinetti. - Cari ragazzi! esclamava. Quanto sono contento di cooperare anch'io col mio picchetto di custodia allo incremento di questa gemma d'istituzione! - Per manifestargli la mia simpatia, una mattina, ritornando col battaglione dalle manovre, ordinai alla banda di suonare il God save the Queen, e al mezzodì, nel rilevare il posto, egli mandò il picchetto doppiato. Era una gara di cortesie. Nonostante mi mancavano sempre nuovi ragazzi, benché sapessi di certo che nessuno fosse più sceso dalle finestre. Un dì a caso ne ravvisai uno, nuotante entro un'assisa bianca fra i soldati di guardia.
      - Come sei qui? gli domandai maravigliato.
      Arrossato e confuso ei rimaneva senza parola.
      - Come fuggisti? parla, ripigliai con voce imperativa e scuotendolo per la pistagna.


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La camicia rossa
di Alberto Mario
pagine 232

   





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