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      - Venti per certo; i rimanenti giacciono dispersi in chiese umide. A Barcellona fu una gara di quel nobile popolo per ricoverare i feriti nelle proprie case; qui non si trova nemmeno paglia da riempire i sacconi portati da Palermo.
      Procedendo con mia moglie lungo il primo corridoio, una voce sottile e debole mi salutò per nome. Voltomi, vidi tre ragazzi sulla paglia coll'assisa bianca macchiata di sangue.
      Ed ella: - Sono i tuoi alunni dell'Istituto, fuggitivi alla brigata Dunne. Guarda codesto (e m'indicò un fanciullo addormentato con una vescica piena di ghiaccio applicata al moncone sinistro), fu amputato ora, povero bambino: ha solamente dodici anni. Mi disse: - Sarò buono, se ella mi tiene, signora; non griderò; piangerò un pochino. Lo tenni, onorò la sua parola, e mi disse dopo che io piansi più di lui. È vero. Adesso dorme, come fanno quasi tutti finita l'operazione.
      - Siete in collera con noi? mi chiese il più grandicello pigliandomi la mano e carezzandola. Ci perdonate? Tanti della nostra brigata sono morti o feriti. Il colonnello dichiarò che dopo la battaglia di Milazzo nessuno potrà dire che i Siciliani non si battono.
      Io mi sentiva soffocare e non potei parlare; baciai quelle fronti pallide lasciando sul letto alcuna piastra e corsi all'aria fresca.
      È molto mesta la notte della vittoria, quando non si ha partecipato alla battaglia!
      L'indomani visitai il Generale, che mi stese la mano con queste parole: - Vi aspettavo.
      - Dopo la battaglia, Generale? Voi avete dimenticato la promessa.


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La camicia rossa
di Alberto Mario
pagine 232

   





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