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      Quattro giorni in appresso mi gli presentai a Messina in camicia rossa e colla nomina in tasca di sottotenente d'ordinanza di lui.
      La spensierata festività della reggia normanna non riapparve al quartier generale di Messina. Garibaldi, assorto in gravi pensieri, divenne taciturno, e la sua fronte, sempre spianata e serena, si fece corrugata e scura. Ogni dì, e spesso due volte, egli percorreva la via da Messina al Faro.
      Un dopo pranzo ve l'accompagnai in carrozza col maggiore Stagnetti, e non si pronunciò verbo mai nell'andata e nel ritorno. Egli, come soleva, salì sulla torre ad interrogare per lunga ora col cannocchiale la riva opposta.
      Ma più del problema militare del passaggio che il suo genio avrebbe certamente sciolto, turbavano gl'inciampi politici che incontrava ad ogni passo. E massime una lettera di Vittorio Emanuele che lo pregava di rinunciare alla liberazione di Napoli, a cui peraltro il Generale rispose, "le popolazioni mi chiamano; io mancherei al mio dovere e comprometterei la causa italiana se non ascoltassi la loro voce". Cessata pertanto ogni incertezza, risoluto di proceder oltre, raccolse tutte le forze nella costruzione d'un ponte invisibile fra Cariddi e Scilla. Epperò egli sentivasi alfine nel proprio elemento, e dall'urto delle difficoltà materiali scoppiavano per lui scintille di nuova luce.
      Il 7 agosto io ero di guardia a palazzo. Chiamato nella sua stanza: - Volete prender parte, mi disse, ad una impresa audace e forse decisiva?
      - Generale! risposi con impeto di contentezza.


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La camicia rossa
di Alberto Mario
pagine 232

   





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