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      Era il crepuscolo. Le due ali nemiche a perdita d'occhio raggiunsero i monti e penetrarono nei boschi, il centro s'inoltrò a un miglio dalla casa; due compagnie di cacciatori ne esploravano le circostanze per impadronirsene.
      - Non c'è ragione, disse Nullo alla testa delle guide, che i nostri malati rimangano senza medicine e noi senza prosciutti.
      E un soldato: - Andiamo a pigliarceli.
      E più voci: - Andiamo.
      Scendemmo in trenta, e scambiate alcune carabinate, con una corsa alla baionetta disgomberammo il sito, e mercè la sinuosità del terreno, delle piante, dell'oscurità crescente, traemmo in salvo pecore, cerotti e pentole. Quindici al trasporto e quindici alla difesa. Non si lasciò indietro né un'oncia di carne, né una benda. Qual cena rapita ai cacciatori napoletani lassù! in quella solitudine senza tempo tinta!
      Troppo affaticati per consolarci di essere riusciti nello scopo prefisso alle nostre operazioni militari, adescando sui nostri passi cotanto nervo di nemici, abbiamo dormito tre ore. Altri però, non io, dormì. Il freddo crudissimo s'impossessò senza misericordia della mia povera persona, protetta da un paio di calzoni di tela e dalla camicia rossa. Due guide, Stradivari e Lena, stavano accovacciati a me da lato sotto una grama coperta. Lena mi raccontò che, sospeso tra la veglia e il sonno, io protendeva le braccia tremanti e irrigidite verso la coperta coll'ansia del naufrago, e che egli, vinto dalla pietà, me ne stese un lembo sulle ginocchia. Ricordo che in quella notte implorai la morte come gran ventura; avevo la sensazione e la convinzione che mi sarei lasciato tagliare a pezzi dai Napoletani, impotente, non dirò di difendermi, di muovermi.


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La camicia rossa
di Alberto Mario
pagine 232

   





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