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      Furioso per le dieci miglia a piedi da Nicotera a Mileto in causa del furto, saltai davanti al colonnello e al giovinotto e trattenni per le briglie i cavalli d'ambidue.
      - Scendete, dissi a costui; questo è il mio cavallo che voi rubaste a Nicotera.
      Egli scendendo e abbandonandomi il cavallo, rispose:
      - Lo presi d'ordine del comandante.
      Con pronuncia ostrogota tentò costui di giustificarsi, ma io l'interruppi con queste parole:
      - Sul monte di Villa San Giovanni, signor comandante, vi cantai più volte - alta la testa - quando la piegavate col moto della civetta al fischio delle palle. Mi rubaste il cavallo per vendicarvi?
      - In quanto a te, soggiunsi al giovinotto manutengolo, voglio scaldarti le orecchie con quattro sciabolate qui sulla piazza, subito.
      E volgendomi al sottotenente De Cristoforis di Milano, che rideva della scena eroicomica:
      - Siimi padrino.
      Ritiratosi il comandante senza pronunciar verbo né avverbio, il suo degno aiutante, il quale oltre la camicia aveva rossi anche i calzoni, osservò che, trovandoci noi davanti al nemico, ne avrebbe dapprima dimandata licenza a Garibaldi.
      Ne avvertii Garibaldi, ma la licenza non fu mai demandata, né più potei ripescare il giovinotto. Due anni dopo, il comandante segnalossi contro l'uomo che avevalo alzato a quel grado.
      Corsi al pero. Il generale giaceva sopra alcune pezze di damasco ecclesiastico stese sull'erba e comandava si cercasse il maggiordomo del vescovo.
      - Questa genia pretina, esclamava con insolita collera, è uguale dappertutto.


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La camicia rossa
di Alberto Mario
pagine 232

   





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