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      La tenue luce dell'alba non toglieva alle lave ardenti, che solcavano in due linee parallele e orizzontali il Vesuvio a due terzi del suo dorso, l'apparenza di grandi masse rutilanti di carbonchio. Sarebbesi creduto il cono del vulcano semiaperto da un punto fisso a guisa di coperchio, e scorrente dall'immensa fessura un fiume di gemme colate. Quel rosso cinabro intenso, ondulante, contrastava decisamente con la tinta di calcedonio, la quale come velo diafano involve la natura nei pochi minuti che precedono la comparsa del sole. Gradualmente le lave sembravano disinfiammarsi e impallidire, e il golfo di Napoli venivasi disegnando magnifico, voluttuoso e inenarrabile. Ond'io poetando proruppi: - Splende così la prima aurora della libertà! - Mentre mi cullava in cosiffatte contemplazioni, erasi accalcata sotto il poggiuolo una turba da me non avvertita di popolani che mi affisavano in silenzio. Appena rinvenuto dalla mia estasi mi chinai a guardare la contrada e tuonò un Viva Garibaldi! Avvedutomi che la camicia rossa causò l'assembramento, feci una riverenza e mi ritrassi tirandomi dietro la persiana. Non veduto, vidi che la folla tosto si diffuse e si confuse nell'ondulatorio e perpetuo movimento di gente sulla spiaggia di Santa Lucia. E lungo codesta spiaggia sorgevano in fila più di cento enormi leggii, a quattro palmi l'uno dall'altro, e da tergo verso il muricciuolo, a mare, tavoli e panche. Sorto il sole, ciascun leggio venne scoperchiato da un personaggio scalzo, scollato, in farsetto e berretta frigia; spartivasi in caselle a scacchiera, ed entro ogni casella parevami ravvisare un pezzo cristallizzato a colori vivacissimi.


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La camicia rossa
di Alberto Mario
pagine 232

   





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