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      L'indomani sera in teatro, a mezzo dell'opera, i cantanti intuonarono l'inno di Garibaldi. L'intendente De Luca dal palchetto troncò quella musica, gridando:
      - Basta, basta, non piú inno. Viva il generale Cialdini, vincitore dei Borbonici e dei cafoni al Macerone presso Isernia. Viva il re galantumo!
      Prima ingratitudine contro il Liberatore, di cui la serie la palla d'Aspromonte non chiuse.
      Noi tumultuando urlammo Viva Garibaldi! Rivolemmo ostinatamente l'inno, e l'inno fu cantato e ricantato.
      Tornando a Caserta, il maggiore Caldesi mi fece:
      - Ora credo anch'io puro sangue sannitico i cafoni del Molise.
      CAP. VI
     
      L'ADDIO
     
      - Perché ve ne state laggiù? mi disse Garibaldi, a pranzo, nel palazzo reale di Caserta, il dì dopo del nostro ritorno dall'infelice spedizione; accostatevi e narratemi i casi d'Isernia.
      Missori, Nullo, Zasio, Caldesi ed io, nauseati della frega adulatrice e vanitosa di molti uffiziali d'assidersi in mostra vicino al generale, ci raccoglievamo invariabilmente al lato opposto della mensa. Conoscendolo insofferente di lunghe ciarle, gli raccontai l'accaduto con succinto discorso, e il maggiore Caldesi mi soccorse felicemente rilevando con elocuzione originale i tratti comici della tragedia. A Garibaldi era noto l'evento per minuto, dal rapporto del comandante Nullo; ma volle con pensiero gentile promuovere l'occasione di manifestarcisi contento di noi, benché battuti, come se gli ci fossimo ripresentati vincitori.
      - Così il Senato Romano, io osservai sorridendo, andò incontro a Varrone disfatto a Canne.


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La camicia rossa
di Alberto Mario
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