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      Dopo di cui ci separammo discretamente amici.
      Tutto quel giorno si spese in assidue peregrinazioni col generale per esaminare i luoghi, spiare i movimenti del nemico e indovinarne le intenzioni. Dalla via laterale, a piè dei colli, spingevano le nostre indagini sulla grande strada militare che collega Capua a Gaeta, accostandoci alla portata delle artiglierie della prima. La sera si piantò il quartier generale intorno a un pagliaio. I nostri cavalli erano spossati e non un bicchier d'acqua per dissetarli.
      Surse il generale dicendo: - Andiamo a cercarne.
      Egli e ciascuno di noi, tolto il proprio cavallo a mano, si mosse errando e quasi brancolando nell'oscurità e per terreni ondulati e trarotti in traccia della linfa occulta.
      Corso e ricorso lungo tratto invano, io dissi a Nullo: - Capisco che senza la bacchetta di Mosè questa sera i cavalli non bevono.
      - Mosè l'abbiamo, e la bacchetta la troveremo.
      Calatici giù in una profonda fessura rinvenimmo la linfa sospirata: pilacchera che le povere bestie, riarse dalla sete, torcendo il naso, s'ingollarono.
      Reduci al nostro pagliaio, io m'acconciai alla meglio un giaciglio e, come mi vi adagiai, sopravvenne la moglie mia, la quale, corsa alla sprovveduta in aiuto del generale Bixio, non esitò d'affrontare sedici miglia a piedi per raggiungermi. Laonde il giaciglio diventò talamo. Garibaldi, coricato poco lungi da me sul suo recado, ragionava vivacemente coll'intendente generale intorno alla distribuzione dei viveri, e non sembrava gran che soddisfatto.


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La camicia rossa
di Alberto Mario
pagine 232

   





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