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      Chiamato per nome, saltai in piedi.
      - Andate a scacciare la pattuglia, egli mi fece.
      Beato dell'onore di rinnovare a un dipresso le gesta di Orazio Coclite, cavalcai frettoloso contro il nemico, lusingandomi di rispondere degnamente alla superlativa fiducia del generale. Però gli amici miei, testimoni del comando ricevuto, probabilmente appartenevano a quella scuola storica che considera il Coclite, lo Scevola, il Curzio ed altri di codesta risma, figure simboliche dell'età poetica di Roma, e deliberarono di non lasciarmi solo fra venti spade. Usciti chetamente dal tempietto, mi tenner dietro ad uno, a due, a tre, e bentosto vidimi in un sodalizio di gagliardi che abbassarono di un tono l'impresa. Sulle nostre pedate s'incamminarono alquanti uffiziali dei corpi ivi attendati, e caporali e soldati, avvegnacché si fosse un pochino diffuso il rumore dell'impresa. Quell'uno adunque, designato da Garibaldi ad una singolare tenzone contro l'avventurosa pattuglia, diventò cinquanta. Oltrepassate le ultime sentinelle degli avamposti, ci profondammo nell'ignoto, in cerca della pattuglia. Quand'ecco il suono dell'ugna dei cavalli ce la prenunzia. Gli uffiziali a piedi e i soldati si spiegano in due ali sui campi per colpirla con fuochi obliqui ed accerchiarla, mentre noi cavalieri sulla strada la investiamo di fronte.
      Pistole e carabine in punto, e avanti! In un lampo le piombiamo addosso e gli snelli volteggiatori delle armi già l'hanno circondata: - Ferma, giù le armi, prigionieri! Il condottiero, sbigottito ed obbediente, depone la frusta ed arresta il barroccio carico di mattoni, tirato da quattro cavalli.


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La camicia rossa
di Alberto Mario
pagine 232

   





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