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      A me pare che il Meyerbeer per seguire di troppo le parole singole del pezzo, smarrisca alcuna volta l'unità del canto, la quale sta precipuamente nel saper rinvenire tale melodia che permanga una ed uguale a se a traverso le sue mutazioni. A quel modo il canto non è più drammatico ma pedantesco. Inoltre il Meyerbeer per pensare d'assai ai pezzi singoli non coglie una di quelle frasi che riassumono tutto il Dramma, e che ripetute di tanto in tanto ci svelano il nodo che stringe i personaggi, l'unità delle situazioni. Massime nel pelago del suo Roberto una di coteste frasi sarebbe necessaria per farci orientare, e ci porgerebbe quasi il fil d'Arianna indispensabile per non ismarrirsi in sì lungo e penoso viaggio. Questa dote unificatrice è propria dell'ingegno grandissimo, e forse pel difetto di questa proprietà alcuni maestri benemeriti e certi uomini di mente negano al Meyerbeer di essere un ingegno principe. La sentenza forse è rigorosa e severa di troppo, ma certo è che il Meyerbeer a furia di pensare perde qualche volta la freschezza, la spontaneità e la fluidità del canto. La melodia piuttosto che sgorgare dal cuore, esce tutta armata dal cervello dell'Artista pensatore, tanto che eziandio il bel motivo si svolge con pena. A maniera di esempio il canto d'Alice al 1° Atto,
     
      Va, dit-elle, va, mon enfant ,
     
      non ostante la sua bellezza, procede a stento, e quasi coi calzari di piombo, come del pari è tirato coi denti, se ben m'appongo, l'accompagnamento alla Cavatina d'Isabella.


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La ragione della musica moderna
di Niccola Marselli
Editore Detken Napoli
1859 pagine 218

   





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