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      Nel creare il regno d'Italia s'era convenuto di adottare, come già nei dipartimenti italiani soggetti alla Francia, il codice Napoleone, salve tuttavia le modificazioni rese necessarie dalle esigenze locali. Luosi, ministro per la giustizia a Milano, ed altri giureconsulti italiani dottissimi in tali materie, s'adoperarono in questa bisogna con alacrità pari al sapere, ed un progetto di legge che doveva migliorare la legislazione del nuovo regno, fu spedito a Parigi perchè si accettasse. Tornò ordine, si ammettesse nel regno puramente e semplicemente il codice francese; dal che poi nacque questo inconveniente, che talune disposizioni contenute in quel volume si riferivano ad usi e costumi diversi fra noi; altre ancora se ne omisero indispensabili alla natura delle popolazioni italiane, ed a certe consuetudini locali meritevoli di sopportazione, quando non si oppongano manifestamente allo spirito della legge in vigore.
      Generalmente parlando, i vantaggi derivati dall'introdurre una nuova legislazione in Italia furono molti, grandi, incontrastabili; pochi, per lo contrario, i danni, temporanei, e forse giustificati dalle calamità dei tempi. Si provvide con raro accorgimento alle parti più difettose; si fecero scomparire dalle migliorate istituzioni le tracce della passata barbarie, l'abuso degli odiosi fidecommessi, tutti gl'indizii delle servitù personali, la distinzione delle classi, le cerimonie del culto religioso, troppe, superstiziose non più conformi al secolo presente. I mali spettavano per la maggior parte al codice criminale, prodigo della pena di morte e della confisca laddove insegnavasi tuttora nelle scuole la massima del sommo filosofo Beccaria, che "le confiscazioni fan soffrire all'innocente la pena del reo, e gl'innocenti medesimi pongono nella disperata necessità di commettere i delitti". Dava anzi la legislazione del regno tanto favore alle delazioni col premio del terzo nelle confische e nelle multe, che ad alcuni, i quali le esercitavano come una loro professione, fruttavano qualche volta i turpi guadagni fino a 15,000 lire all'anno(3). Parve ancora cosa enorme vedere nel codice criminale pareggiarsi il semplice attentato al delitto consumato, perciocchè un articolo di esso diceva, che "l'attentato sospeso o ineseguito per circostanze fortuite o indipendenti dalla volontà dell'autore viene considerato come lo stesso crimine": le quali disposizioni esorbitanti, ingiuste ed in tutto biasimevoli, apparivano nondimeno scusabili per le guerre che mettevano in continuo pericolo le condizioni interne dello Stato, e per l'operosità dei nemici della dinastia napoleonica a suscitarle difficoltà ad ogni leggero rovescio di fortuna.


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-Storia d'Italia continuata da quella del Botta dall'anno 1814 al 1834
Parte prima 1814-22
di Giuseppe Martini
Tipogr. Elvetica Torino
1850-1852 pagine 496

   





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