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      Ma Bentinck non altro diede a Trecchi fuori che parole e promesse di niuna sostanza; a Filangieri rispose, di buon grado e con tutte le forze di terra e di mare di cui poteva disporre in quel punto aiuterebbe egli il desiderio dei Napolitani, a patto che prima di tutto caccerebbero essi dal trono di Napoli Giovacchino Murat per riporvi un Borbone. Non nominava Bentinck particolarmente il re Ferdinando di Sicilia, ben sapendo egli che dopo le nefandità del 99, quel principe sanguinario e spergiuro era diventato odioso ai Napolitani, ma si lasciava intendere scortamente che l'eletto sarebbe un figliuolo di lui; forse il secondogenito, principe Leopoldo, che giovinetto ancora aveva fama di dolci e onesti costumi, di animo singolarmente propenso alle liberali dottrine. Non avendo Filangieri facoltà di trattare sopra queste basi proposte dal comandante britannico, se ne tornò nelle Marche, esortando quivi i generali suoi compagni, e questi consentendo, a rimandare a miglior tempo l'adempimento dei da loro concertati disegni.
      Frattanto la deputazione spedita a Parigi dai Milanesi s'affaccendava presso i principi e i ministri loro per ottenere la conservazione del regno d'Italia e la piena loro adesione alle dimande delle popolazioni lombarde, nel cui nome rammentavano ora le promesse anteriori. I principi rispondevano parole vaghe e inconcludenti; i ministri, almeno quelli di Prussia e di Russia, o che sel facessero di proprio capo, o più veramente che si fossero prima indettati coi rispettivi padroni, ed animati da quel sentimento di colorita rivalità verso la politica austriaca che ha sempre inspirata la condotta dei due gabinetti di Berlino e di Pietroburgo, non avrebbero veduto malvolentieri che il regno d'Italia continuasse a reggersi ad arbitrio proprio piuttosto che cadere servo sotto il giogo dell'Austria.


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-Storia d'Italia continuata da quella del Botta dall'anno 1814 al 1834
Parte prima 1814-22
di Giuseppe Martini
Tipogr. Elvetica Torino
1850-1852 pagine 496

   





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