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      Ma queste erano parole, e nel fatto non si parlò più mai di costituzione nè di riforme. Quasi poi si volesse il re consolare della diminuzione, com'egli credeva, della sua autorità nel porgere orecchio alle proposte fattegli intorno alle menzionate cose, ottenne che la nobiltà, il clero e l'esercito stesso gli mandassero a far riverenza ed omaggio numerose deputazioni, dalle quali sempre si aggrandivano e profondevano sensi di amore, di gratitudine, di rispetto e di fedeltà. Anche i dotti e le accademie furono tentate e non senza frutto, essendosi per maggior vergogna loro, non pure i sensi, ma le parole stesse e la forma dei discorsi concertate nei segreti abboccamenti fra i ministri del re e i capi delle deputazioni. La partenopèa servitù a questa volta faceva a gara nel mostrarsi adulatoria ed abbietta. Murat, per natura assai vanaglorioso, compiacevasi in sè medesimo di quelle adulazioni, ed in ogni occasione ne prendeva buon augurio agli accidenti futuri. Gli furono anche di non mediocre giovamento in Vienna, dando credenza ai principi confederati che veramente le classi elevate dei Napolitani a re loro il volessero.
      Aveva Murat spedito al congresso siccome suoi ambasciatori il duca di Campochiaro e il principe di Cariati. Costoro magnificando appresso ai collegati gli effetti dell'azione del loro signore in Italia, contraria ai successi dei Francesi, richiedevano da loro che, conformandosi in tutto alle anteriori promesse, venisse ora pubblicamente e con solenne atto riconosciuto nella sua qualità di re di Napoli.


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-Storia d'Italia continuata da quella del Botta dall'anno 1814 al 1834
Parte prima 1814-22
di Giuseppe Martini
Tipogr. Elvetica Torino
1850-1852 pagine 496

   





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