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      Un alto terrore dominava i cuori dei cittadini. Si vociferava, ed era anche vero, tornare il re siciliano più dedito alle pratiche esteriori della pietà; debole la ragione per la niuna istruzione, debole il corpo per le sporche lascivie, lui servirsi della religione, come i re se ne servono, per iscusare cioè i mancamenti proprii, ed in suo nome punire gli altrui. Nondimeno la città tutta si doveva allegrare; la gente giubilare. Si suonarono le campane a festa, si cantarono gl'inni nelle chiese, si chiamarono i Tedeschi liberatori, dai partigiani per amore, dagli avversi per timore. Furonvi poi allegrezze, luminarie e poesie in copia; cose tutte che si erano anche fatte dai Napolitani quando la prima volta vennero i napoleonidi ad imperare su loro, e che dai popoli servi sempre si sogliono fare ad ogni mutazione di governo e di re.
      Dirò ora dei casi di Carolina. I venti contrarii trattenevano in porto la nave, quando già erano entrati in città i Tedeschi trionfatori e il Borbone con loro; e dintorno al vascello ogni giorno venivano barche e vil gente di plebe cantando canzoni allusive, dicendo motti parte ridicoli, parte scherzevoli, e tutti ad ingiuria di lei: la qual cosa come potesse tollerare un pubblico rappresentante dell'Inghilterra senza mancare agli usi delle nazioni incivilite, io per me non lo so. Finalmente il vascello scioglieva, e stando già in alto mare s'incontrava nell'altro che dalla Sicilia portava in Napoli il re Ferdinando. L'ammiraglio apprestava i dovuti saluti, e con villano motteggio diceva a Carolina, non prendesse timore ai tiri del cannone; essere a festa per il fortunato incontro del Borbone.


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-Storia d'Italia continuata da quella del Botta dall'anno 1814 al 1834
Parte prima 1814-22
di Giuseppe Martini
Tipogr. Elvetica Torino
1850-1852 pagine 496

   





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